SARRASTI A LONGOLA

Il villaggio protostorico di Longola era verosimilmente abitato da una popolazione osca, che parlava un idioma indoeuropeo del gruppo osco-umbro.

Eneide (VII, 738)
Eneide (VII, 738)

Virgilio nell'Eneide (VII, 738) la indicò col nome di "Sarrasti", una tribù che la tradizione fa discendere dai Pelasgi che, nell'alta Età del Bronzo migrarono dal Peloponneso e si insediarono in gran parte dell'Italia Meridionale.

Queste popolazioni si stabilirono anche nella Valle del Sarno e ribattezzarono il fiume "Sarno" o "Sarro" in memoria di un altro fiume, il "Saron", che scorreva nella madre patria da cui essi erano emigrati.

Dalle ricostruzioni fatte in base ai reperti ritrovati nell'area, i Sarrasti erano un popolo operoso, ricco e forte, rispettoso dei deboli e degli anziani.

Dal V secolo a.C. gli Osci furono inglobati dai Sanniti, a loro strettamente affini e inizialmente stanziati leggermente più a nord, e da allora i due gruppi finirono sostanzialmente per coincidere, in una variegata differenziazione tribale che sopravvisse a lungo anche alla conquista romana di tutto l'insieme di queste genti, compiuta con le Guerre sannitiche.

TESTIMONIANZE DELLA VITA PASSATA

Il sito continua a restituire oggetti che fanno capire come Longola fosse inserita nelle rotte commerciali del Mediterraneo e, a quanto pare, non in posizione subordinata in quanto aveva già contatti con l'estremo Oriente ed il Nord Europa, testimoniati dalla presenza di numerosi chicchi di ambra.

Ceramiche rinvenute a Longola
Ceramiche rinvenute a Longola (Foto archivio S.A.P)

Tra i numerosissimi reperti rinvenuti, inoltre, si segnalano migliaia di reperti in ceramica, la cui conservazione in ambiente privo di aria ha consentito di evidenziare che su alcuni bucchero, senza ombra di dubbio, era stato effettuato un trattamento con pennellatura (e non per immersione), con un particolare prodotto liquido in modo da dare un aspetto argentato e lucente alla superficie.

Oltre a ciò, il sito ha riportato alla luce bellissime fibule di varie fogge, collane in ambra, osso, corno lavorato, pasta vitrea, pietre dure, amuleti e attrezzi da lavoro in bronzo e ferro.

Eccezionale è il ritrovamento di uno strumento ligneo simile a un moderno piccone, il lungo manico spezzato in diversi punti, ha fatto ipotizzare che esso, danneggiatosi durante l'utilizzo, forse per rimuovere i resti di una palafitta dismessa, fosse stato lasciato sul posto, quasi a simbolo della forza modificatrice degli operosi abitanti di Longola.

PRESENTE E PASSATO INTRECCIATI SU UN FILO DI PASTA DI VETRO COLORATO

L'insediamento palafitticolo di Longola, ricavato tra canali artificiali, è simile a all'insediamento iracheno di Marsh Arab e anche ai villaggi africani di Ganviè e Nokoué-Wémè, nella regione meridionale del Benin.

Marsh Arab
Insediamento iracheno di Marsh Arab

Questi ancora oggi sono abitati da popolazioni che vivono sulle palafitte, in un sistema perfettamente integrato con la natura, nonostante le continue inondazioni che portano il livello dell'acqua a salire di oltre un metro.

La cosa sorprendente è che anche questi abitanti lavorano la pasta di vetro colorato con cui costruiscono artistiche perle e collane simili a quelle prodotte a Longola.

LA PIROGA IN MOSTRA PER VALORIZZARE E PROMUOVERE IL SITO DI LONGOLA

Una delle piroghe di Longola, assicurata per milioni di euro data la sua unicità , è stata esposta al pubblico nel novembre 2011 a Città della Scienza di Napoli durante la mostra "Viaggio al centro della Terra".

Piroga di Longola esposta a Città della Scienza
Piroga di Longola esposta a Città  della Scienza

Essa è costruita con tavole assemblate, ha il fondo piatto, le fiancate basse e dritte e misura circa 7 metri. In effetti, si tratta di un'imbarcazione tipica del fiume Sarno che può essere considerata la progenitrice di quelle che fino a qualche decennio fa, quando il Sarno non era ancora inquinato ed era navigabile, erano ancora utilizzate per la pesca, il taglio delle canne e gli scambi commerciali.

Fortunatamente la piroga di Longola è scampata alle fiamme che hanno divorato la Città  della Scienza nel marzo 2013 in quanto al momento dell'incendio era custodito presso uno dei depositi della Sopraintendenza Archeologica di Pompei.