L'eccezionale villaggio perifluviale e perispondale di Longola contava circa 400 abitanti e le attività principali cui essi si dedicavano erano sicuramente l'agricoltura, la raccolta di frutti spontanei e l'allevamento.
L'agricoltura si basava sui cereali (per lo più legumi) ma anche sulla vite coltivata, così come dimostrato dai ritrovamenti di tralci residui dalla potatura, ammassi di acini, vinaccioli, pedicelli e raspi nonchè dai torchi utili per pigiare, poi, l'uva.
Si raccoglievano, poi, nocciole, fichi, more e corniole. L'allevamento è testimoniato dal ritrovamento di recinti e, in prossimità di due mangiatoie, di ghiande che suggeriscono l'utilizzo di tale frutto come foraggio per animali.
Si allevavano bovini, ovi-caprini e suini che, quindi, rappresentavano le principali fonti nutrizionali insieme, anche se in modo molto modesto, alla carne fornita dalla caccia ai mammiferi selvaggi (cinghiali, orsi, caprioli, cervi) e agli uccelli nonchè dalla pesca.
I bovini, inoltre, erano di supporto nel lavoro agricolo e fornivano pelli, corna e ossa mentre gli ovi-caprini erano sfruttati per la lana. Gli equini, invece, erano principalmente utilizzati come animali da monta in quanto si ipotizza che la loro carne non rientrasse nelle abitudini alimentari delle genti locali.
Attraverso tali attività gli abitanti di Longola provvedevano alla soddisfazione dei propri bisogni primari ed alla commercializzazione delle derrate alimentari superflue.
L'attività di tessitura era di grande rilievo, soprattutto a partire dalla prima Età del Ferro, anche se solo dall'Orientalizzante Antico si evince un'evoluzione del ruolo sociale della donna.
L'attività doveva avere uno stampo domestico e familiare a giudicare dal rinvenimento di un numero consistente di fusaiole, di alcuni rocchetti utilizzati per la filatura e di numerosi pesi da telaio di tipo verticale. A Longola in ogni caso non si sono stati rinvenuti filati e tessuti ma la lavorazione di fibre di origine vegetale è testimoniata da una splendida cesta di vimini intrecciata, dalla struttura di lamelle di legno e con l'intreccio della parete costituito da steli di graminacea.
La popolazione, inoltre, si dedicava all'artigianato e alla produzione di oggetti preziosi, destinati esclusivamente al commercio coi popoli limitrofi. In quasi tutte le abitazioni, infatti, è stato rinvenuto un forno di fusione per il bronzo e suppellettili che testimoniano la lavorazione di gioielli in ambra (soprattutto perle ma anche pendagli, anelli, bottoni) ed altri materiali preziosi importati (osso, pasta vitrea e ceramica), la produzione di attrezzi da lavoro o armi nonchè di vasi, statuette fittili antropomorfe e zoomorfe e figurine plastiche di uso sacro, come testimoniano i ritrovamenti nelle tombe a fossa limitrofe.
L'abitato di Longola all'inizio del VI sec. a.C.venne parzialmente destinato a colture specializzate (probabilmente viticoltura) fino a che venne definitivamente abbandonato. In epoca ellenistico-romana (tra il III-II sec. a.C.), tuttavia, si è registrata una rifrequentazione non stabile dell'area, caratterizzata da un ambiente prevalentemente boschivo. La rioccupazione della zona a partire dalla stessa epoca, è stata documentata anche dal rinvenimento nella stessa Poggiomarino, nella vicina località Ceraso, di un insediamento abitativo, a carattere prevalentemente rustico, la cui vita si era protratta, tra varie vicende edilizie, anche dopo l'eruzione del 79 d. C. e fino all'eruzione di Pollena che obliterà definitivamente l'area.
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