Fin dal Neolitico la popolazione della valle del Sarno coltivava le terre lungo il corso del fiume spinta dal clima mite, dalla fertilità della zona e dalla possibilità di approvvigionarsi facilmente d'acqua. Come testimonia, però, il sito archeologico di Longola, nel II millennio a.C. l'evidente evoluzione delle necessità o delle capacità degli indigeni li spinse alla commercializzazione e soprattutto alla realizzazione di grandiosi sistemi di bonifica e drenaggio.
In questa evoluzione, culturale ed economica, ha svolto un ruolo importantissimo il fiume Sarno, anticamente navigabile ed adorato come un Dio, il quale proteggeva i rapporti con le popolazioni circostanti e consentiva gli scambi commerciali tra l'entroterra ed il più ampio mercato tirrenico, se non addirittura mediterraneo.
I prodotti locali, infatti, erano trasportati lungo il fiume fino alla foce, dalla quale erano commercializzati, attraverso navi adatte alla navigazione marittima, con i Greci stanziati a Cuma e sull'isola di Ischia.
A confermare l'esistenza di un porto fluviale sul Sarno di significativa rilevanza, vi è il ritrovamento a Longola di tre piroghe - cioè delle imbarcazioni adatte alla navigazione fluviale, strette e lunghe circa 7 metri - di cui una recuperata pressochè integralmente con a bordo il suo carico di cereali e piroclastiti, e due monossili, ancora ancorate a grossi pali di ormeggio, e sottoposte a trattamento conservativo.
L'insediamento protostorico di Longola, inoltre, rappresenta un capolavoro d'ingegneria idraulica che, grazie ad un ambiente anaerobico, è stato ritrovato in un ottimo stato conservazione.
L'area su cui sorgeva il sito, infatti, era paludosa e fu bonificata ricavando artificialmente isolotti circondati da canali navigabili, rafforzati ai bordi da palificazioni e travi squadrate.
Questi isolotti erano caratterizzati da palafitte ricavate da tronchi di quercia piantati nei fondali melmosi ed il piano di calpestio era stato realizzato sovrapponendo pomici, ramaglie e limo al fine di drenare e mantenere asciutte le aree abitate che, tra l'altro, erano di poco soprelevate rispetto ai canali e ai bacini palustri circostanti proprio per evitare l'acqua alta.
Sugli isolotti erano costruite palafitte generalmente a pianta sub-rettangolare con uno dei lati corti absidato ed erano dotate di tetto a doppio spiovente, sorretto dai pali perimetrali tondi di grandi dimensioni. All'interno, al centro, avevano un focolare o un piccolo forno domestico cui, in alcuni casi, si aggiungeva all'esterno, un forno più grande impiegato a scopo produttivo.
La grandissima quantità di legni ricavati nei fitti boschi vicini e restituiti dall'abitato di Longola, testimoniano per la prima volta nell'Italia del Sud il largo impiego di legno come materia prima. Si tratta per lo più di legni di quercia ma sono stati ritrovati, anche se in percentuale minore, frammenti di abete, faggio, acero, salice, olmo, frassino e ontano, che aiutano a ricostruire parte del paesaggio antico.
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